Tempo di uccidere (1947) di Ennio Flaiano

Etiopia. Anni trenta. Il giovane ufficiale italiano stanco di aspettare soccorsi dopo che il suo camion si è rovesciato ad una curva, abbandona il suo compagno per dirigersi al fiume. Trova una scorciatoia, si perde, e il caldo rende il mal di denti insopportabile. Mariam, una giovane e bellissima donna africana si bagna in uno specchio d'acqua. Non si parlano nemmeno. La distanza tra i due è abissale. Lui, indifferente uomo occidentale con in tasca le lettere scritte per la moglie; lei, essere inesplicabile incapace di dare valore all'esistenza e all'idea stessa di tempo Una notte passata assieme e un sonno vissuto nell'abbraccio. L'attacco di una belva feroce, un proiettile che rimbalza e il senso di colpa che mai più abbandonerà il soldato, insieme allo spettro della lebbra. La fuga e il continuo ritornare al luogo del crimine dovuto alle circostanze.

Ennio Flaiano, giornalista, scrittore, critico cinematografico, drammaturgo, e firma delle sceneggiature dei più grandi capolavori felliniani tra cui "I vitelloni", "La strada", "La dolce vita" e "8½", per citarne alcuni, con "Tempo di uccidere" vince il primo Premio Strega nel 1947.

La mitologia flaianea vuole che il romanzo sia stato scritto in soli venti giorni su personale invito di Leo Longanesi, fondatore dell'omonima casa editrice, e che la stesura non abbia poi conosciuto alcun tipo di rielaborazione successiva.

Con ironia e distacco, Flaiano ci racconta in una chiave fortemente neorealista, la storia di un eroe perplesso e indifferente, divorato dal senso di colpa per l'omicidio di una giovane indigena e il suo tentativo di fuga per tornare in Italia. Nei lunghi mesi di diserzione vissuti nel timore di essere arrestato e di aver contratto la lebbra, il giovane ufficiale si abbandona a profonde riflessioni di carattere esistenziale e metafisico cercando di riconquistare la propria coscienza perduta. 

Il suo romanzo ci riporta inevitabilmente al tema della guerra, ma è una guerra che non si rivela. Una guerra non scritta in cui vengono a cadere gli aspetti più crudeli e gli eroismi, e ogni cosa assume invece una dimensione allegorica e simbolica. Lo stesso protagonista non rappresenta un modello positivo, ma è semplicemente un uomo comune, vittima delle circostanze, e incapace di prendere il controllo della situazione. Non vi è nulla di eccezionale nella sua esperienza, ma anzi è la banalità a farsi motore degli eventi e del suo destino: tutto nasce da un mal di denti e dall'ottenimento di qualche giorno di licenza per trovare un dentista.

La realtà che ci racconta Flaiano diventa allora la realtà dei sentimenti, delle paure più profonde e del destino, che rende vana qualunque scelta. Il disagio raccontato è quello dell'uomo contemporaneo, della perdita della ragione e di un uso quasi inconscio della violenza.
Ciò fa di "Tempo di uccidere" non un semplice romanzo del dopoguerra, ma un'opera di estrema attualità che tutti dovrebbero leggere.

Ps: Dal romanzo è stato tratto un film, Tempo di uccidere, appunto, datato 1989, per la regia di Giuliano Montaldo, con Nicholas Cage, Ricky Tognazzi e Giancarlo Giannini. Io non l'ho visto, ma magari voi sì, quindi fatemi sapere che ne pensate.


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