Prometheus (2012) di Ridley Scott
Un alieno umanoide beve una tazzina di qualcosa e comincia a sgretolarsi, cade dalla scogliera e tra le correnti d'acqua da vita al genere umano*.
Passano milioni di anni. Scozia, 2089. La coppia di scienziati innamorati trova in una caverna l'ennesima raffigurazione preistorica di un omone alieno che indica una costellazione, opera di una delle solite civiltà scomparse.
"Se capiremo chi sono loro, forse capiremo anche chi siamo noi, da dove veniamo e perché esistiamo".
Spedizione spaziale per incontrare gli "Ingegneri". Atterraggio nel pianeta che tanto ci ricorda quello del primo Alien con annessa astronave. Statua gigante a forma di testa umana (?), bassorilievo della regina degli alieni del secondo capitolo di Cameron (?), uova (?), liquido nero ovunque (?). Alieno cobra a forma di vagina. Comportamenti privi di ogni logica da parte dei membri della spedizione. Zombie (?). Il sintetico di bordo che fa un po' quel cavolo che vuole (?). Aborti (?). Domande esistenziali a destra e a manca. Religione, religione, religione. Finalmente un cazzo di alieno per come lo conosciamo. Fine.
*non sono sicuro di questa interpretazione.
Ridley Scott cerca con questo "prequel" di replicare in qualche modo le situazioni e i personaggi protagonisti del suo primo capolavoro. Peccato che qui pare che tutti siano più impegnati a reagire col mondo esterno nel modo più idiota possibile. La sceneggiatura del tutto inconcludente di Damon Lindelof ("Lost" vi dice niente?) scoperchia continui vasi di Pandora, solleva questioni etico-filosofiche, e fa sì che i personaggi si comportino in modo del tutto casuale. Nella testa dello spettatore sorgono una marea di "perché?" che non trovano risposta, il tutto riuscendo ad essere prevedibile e didascalica in modo esagerato.
Il livello interpretativo è generalmente mediocre. Charlize Theron fa uno sforzo sovrumano a dare quel minimo di spessore a quello che più che un personaggio è un palo biondo. Noomi Rapace, poveretta, non solo non ce la fa, ma ha a che fare con un personaggio scritto con i piedi che passa dall'insicurezza più radicata (prematura scomparsa del padre, sterilità?, religiosità galoppante) alla cazzutaggine più estrema, il tutto senza alcuno spessore narrativo. Nulla di paragonabile alla Ripley di Segourney Weaver. La nota più positiva la offre Michael Fassbender, nei panni del sintetico di bordo: personaggio diafano, filosofo e tuttologo il cui ruolo all'interno dell'intreccio è decisivo per il procedere della narrazione, ma le cui motivazioni restano anch'esse del tutto incomprensibili. E poi c'è la presenza di Guy Pearce che contribuisce a rendere il mistero intorno a questo colossal ancora più fitto: perché assegnare ad un attore giovane la parte di un vecchio decrepito in procinto di morire, quando potresti assumerne uno anagraficamente avanti con gli anni e risparmiargli una figuraccia dovuta ad un trucco a dire poco imbarazzante (vedi Leonardo di Caprio e Josh Hamilton nel "J. Edgar" di Eastwood)? Va bene che è uno sci-fi ed è necessaria una sospensione dell'incredulità, ma qui si esagera davvero.
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Ps: è previsto un sequel del prequel...
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